top of page
Immagine del redattoreEleonora Peccenati

La storia di Demetrio


Demetrio (nome di fantasia) è un paziente che ha voluto raccontarci la sua storia, sottolineando come il chiedere aiuto non sia segno di debolezza, ma un gesto d’amore e di forza verso sé stessi.


Non so come sia iniziato, quale sia stata la scintilla che abbia innescato il cambiamento della mia persona. Qualunque cosa sia stata ormai ha creato l’effetto domino, anche se chiamarlo così mi sembra riduttivo. Nel gioco una pedina cade perché un’altra l’ha colpita nel punto esatto scaturendo una scia che dà origine a una catarsi voluta, controllata. Nel mio caso non è così. In questi casi non è così.

Quando sentiamo parlare di problemi del comportamento alimentare, li percepiamo come una realtà lontana da noi, dal nostro vivere, che non può riguardarci. Subito pensiamo ai casi estremi, alle modelle anoressiche o alle persone che hanno un peso talmente eccessivo che causa loro problemi ben più gravi dal “dover perdere quei chiletti per entrare nel normo peso”. Le problematiche riguardanti l’alimentazione non vengono considerate seriamente, non c’è una vera e propria sensibilizzazione riguardo all’argomento. Quest’ultimo ci viene sempre presentato come un qualcosa che riguarda una realtà troppo lontana dalla nostra, almeno così è successo a me alle medie, quando per un breve momento in una giornata scolastica negli anni delle scuole medie, un docente ha “sacrificato” parte della sua lezione per portarci ad una conferenza dove ci venivano mostrate foto di persone anoressiche e obese, che facevano da sfondo a qualche parola detta qua e la e basta.

Non veniamo sensibilizzati, o meglio, messi a conoscenza di cosa i disturbi del comportamento alimentare siano in realtà.

Mi sono ritrovato in un mondo in cui stavo bene, o meglio, credevo di stare bene, in cui il semplice tenere in ordine le cose del quotidiano si erano spostate su altri livelli, su altri aspetti della mia vita; il tutto senza rendermene conto. Pian piano si era costruita una bolla, se così possiamo chiamarla, che mi faceva percepire il vivere sotto altri occhi, altri giudizie pregiudizi. Senza rendermene conto avevo eliminato alcune categorie di alimenti ma soprattutto di emozioni e sensazioni. Ebbene si, quando parliamo di disturbi del comportamento alimentare ciò che si perde, che ho perso, non riguarda solo il cibo, ma anche il lato emotivo si era affievolito, era andato via via scemando.

Nel mio mondo all’interno della bolla, anche se più somigliante a una vera e propria roccaforte medievale da tanto era solida e inespugnabile la corazza che avevo intorno a me, io stavo bene. Mi vedevo bene. Stavo bene. Ero in pace con me stesso e quando qualcuno mi faceva notare quanto io fossi magro non davo mai loro retta, perché per me, erano loro che erano “fuori posto” non io. Tutto andava bene fino a quando una bambina, al mare, ha continuato durante tutto il periodo di ferie a far notare alla madre quanto io fossi troppo magro, quanto il mio ombelico e le mie ossa fossero visibili. Ecco che, quella voce dell’innocenza, è riuscita a scalfire la corazza. Da quel giorno ho iniziato a chiedermi se avessero ragione le altre persone, a provare strane sensazioni cui non sapevo ancora dare un nome.

All’inizio ho chiesto aiuto ad una persona competente di seguirmi nel percorso alimentare per ritornare ad essere normo peso, ma questo non era sufficiente. Una volta recuperati i chili persi se ne sono andati in poco tempo, non appena sono stato lasciato da solo nella regolazione dei pasti. Qualcosa ancora non andava. Ancora non ero pronto a chiedere davvero aiuto.

La cosa più difficile è chiedere aiuto, perché l’alter ego che è riuscito a costruire il mondo in cui mi trovavo non voleva che io facessi crollare ciò che lui aveva edificato, non voleva che facessi scoppiare la fatidica bolla.

Un giorno feci una cosa che mi costò fatica, lo ricorderò sempre. Stavo pranzando con mia mamma e mia sorella e, non so come, non so perché ma lo dissi tra le lacrime “Ma com’è possibile che non vi siete accorti di niente, che ho un problema?” Mia mamma inizialmente non capì ma mia sorella comprese tutto; sapeva tutto. Presi coraggio e lo dissi “Ho un problema, questo è il mio problema!” indicando il piatto che avevo davanti. Da quel giorno decisi che dovevo farmi aiutare, volli essere aiutato per tornare ad essere quello di prima.

Il percorso che iniziai e che sto seguendo non è semplice, non è come percorrere una strada spianata che porta alla meta. Ci sono giorni in cui tutto va alla grande, in cui non ci sono pensieri disfunzionali che tormentano il vivere “Ma mangi ancora?” “Quante calorie avrà?” “Se anche questo non lo mangi non succede niente” “Sei sempre il solito che non ne fa una giusta” “Sei un disastro. Un fallimento su tutta la linea”. Avete notato qualcosa di strano vero? Non tutto riguarda il cibo, il mangiare meno. Quella è solo una parte, una manifestazione di ciò che in realtà c’è dentro.

L’essere magri o obesi, e non per forza all’estremo dell’immagine che abbiamo in mente, non sono altro che mere manifestazioni di un disturbo ben più radicato nella psiche.

Quando ero alle medie, dovevano far parlare una persona reale che mi mostrava che il problema non riguarda solamente le persone nelle foto, ma che riguarda tutti, anche quel ragazzo o quella ragazza che ci passa accanto, di cui non avremmo il minimo sospetto.

Adesso molti diranno che la colpa è di chi ha cresciuto e ha vissuto a contatto con persone che ne hanno sofferto o che ne soffrono, ma in realtà, i nostri genitori, le nostre famiglie, non ne hanno alcuna responsabilità. Siamo solo noi gli artefici del nostro io.

Chiedere aiuto non è facile, ma è l’unica strada da percorrere se vogliamo far scoppiare la bolla in cui si vive e prendere nuovamente in mano ciò che abbiamo tralasciato o schiacciato sotto il peso di ciò che per noi era giusto, corretto e unico in quel momento.

Ci saranno giorni in cui si vuole lasciare tutto, in cui vorremmo buttare, vogliamo gettare tutto all’interno di una grossa cisterna vanificando gli sforzi fatti sino ad ora, ma basta stringere i denti, fare un respiro profondo e, se ne abbiamo bisogno, chiedere ancora aiuto.

Riassaporare la vita, il gusto di una lasagna che ci riporta alla mente il ricordo di una domenica passata, il sapore di una merendina ci fa rivivere un pomeriggio di spensieratezza di quando eravamo bambini. Una risata, un abbraccio, un gesto semplice come il decorare la casa per le feste del Natale, sono manifestazioni che siamo sulla strada giusta, che sono sulla strada giusta.


Chiedere aiuto non è segno di debolezza, ma è un gesto d’amore e di forza verso sé stessi.










89 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Intervista 🎙

Comments


bottom of page